La scuola nelle case

Com'era la didattica a distanza, prima della DAD?

In questo periodo studenti e docenti si trovano a rimpiangere i tempi facili; tempi in cui, senza mezzi informatici, la scuola si sarebbe semplicemente arresa. Ma è davvero così? La didattica a distanza è davvero un'invenzione di questo periodo e di queste necessità? Con un viaggio dentro una storia ormai quasi dimenticata, la storica preferita del fisico baffuto, vi porterà alla scoperta di una didattica a distanza prima della DAD.

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Dove ci porta questa storia?!

Siamo di fronte ad una giovane Italia, una nazione nata inglobando terre, lingue e anime molto diverse. I punti di incontro e le occasioni per potersi riconoscere come unica nazione spesso erano ancora estremamente esigue. In una realtà così complessa la radio e la televisione riuscirono a “sintonizzare la nazione” operando trasversalmente su diversità geografiche, sociali e culturali profonde e stratificate nei secoli.

Questi mezzi di comunicazione contribuirono ad infondere nei cittadini un comune senso di appartenenza attraverso la condivisione di un mondo sonoro e visivo variegato e ricco di storie, tradizioni letterarie, costumi popolari, musica, nuovi divi e avvenimenti di ogni tipo.

Rapidamente divennero strumenti potenti per compensare un'educazione linguistica inadeguata rispetto al multilinguismo tipico dell’Italia e alle veloci trasformazioni sociali e culturali in corso. Il linguaggio pubblico unico diffuso prima dal servizio pubblico dell'EIAR (Ente Italiano per le Audizioni Radiofoniche) e poi della RAI (Radio Audizioni Italiane), garantirono a radio e televisione un ruolo educativo che permise, in parte, di compensare le carenze della scuola pubblica.

L’italiano radiofonico in età fascista

Il regime fascista perseguì fin da subito l’obiettivo dell’omologazione, utilizzando la radio non solo come strumento di propaganda, ma anche come mezzo per realizzare e diffondere una politica linguistica nazionalistica, antidialettale e xenofoba.

L’impegno maggiore del regime fu concentrato sull’insegnamento della lingua italiana: nel 1938 l’EIAR avviò la messa in onda del programma "La lingua d’Italia", realizzato in collaborazione con il Ministero dell’educazione nazionale e con l’Accademia d’Italia. Scopo del corso era quello di «rafforzare l’italianità del nostro incomparabile idioma e di diffondere le norme di ortofonia».

La funzione didattica della televisione

Nato nel 1954 per educare, informare e intrattenere, il servizio pubblico della RAI coadiuvò negli anni il mondo della scuola, impegnandosi fin da subito nella promozione culturale e ponendo in primo piano il problema dell’alfabetizzazione e della diffusione della lingua. Il contratto di servizio della RAI con lo Stato italiano prevedeva infatti l’obiettivo della formazione, che si affiancava alla necessità di intrattenere attraverso una divulgazione di qualità.

Tra i programmi di genere didattico-culturale, il primo ad essere trasmesso fu "Una risposta per voi" del professor Alessandro Cutolo, in onda dal 1954 al 1956 e successivamente ripreso fino al 1968. Il docente rispondeva a quesiti di origine prevalentemente linguistica con arguzia ed eleganza, risolvendo dubbi e suscitando curiosità. Il programma inaugurò la televisione divulgativa e si propose come modello di molti format culturali generalisti successivi.

TV e Radio

Particolare interesse suscitarono inoltre Telescuola e Non è mai troppo tardi, due programmi che rivestirono un ruolo da protagonista nel processo di scolarizzazione della nazione.

Telescuola, un programma “sostitutivo”

In onda dal 1958 al 1966, Telescuola fu un programma televisivo a carattere “sostitutivo” - realizzato con il sostegno del Ministero della Pubblica Istruzione - per consentire il completamento del ciclo di istruzione obbligatoria ai ragazzi residenti in località prive di scuole secondarie.

Trasmesso in diretta, Telescuola si rivelò un esperimento straordinario di formazione a distanza, il primo in assoluto nel nostro paese. In sei anni di attività, il programma raggiunse e certificò corsisti di ogni parte d’Italia, consentendo di combattere in maniera concreta l’alto grado di analfabetismo.

Telescuola fu di fatto la prima tappa di una lunga collaborazione editoriale tra la RAI e il Ministero della Pubblica Istruzione. Si trattava di un vero e proprio corso con frequenza quotidiana (dalle 14 alle 15.10) che permetteva di conseguire un regolare diploma di indirizzo tecnico, industriale o agrario, grazie a 1626 punti d’ascolto, ed altrettanti tutor, a garantire la mediazione e la somministrazione delle lezioni televisive alla classe su tutto il territorio nazionale.

Non è mai troppo tardi, la lezione di Alberto Manzi

Una lezione pedagogica, ma anche mediatica. Il maestro Alberto Manzi fu un grande protagonista della televisione italiana degli anni Sessanta: con la trasmissione Non è mai troppo tardi (1960-1968) insegnò a leggere e scrivere a milioni di italiani ancora analfabeti. Nel corso degli otto anni di durata del programma, di fatto una sorta di scuola serale, un milione e mezzo di adulti riuscirono nell’impresa di conseguire la licenza elementare. Alberto Manzi fu dunque un protagonista centrale della campagna di alfabetizzazione del paese, ma anche un uomo dotato di grande intuito e capacità comunicativa.

Dal lunedì al venerdì, alle ore 19, il maestro e pedagogo dava voce e volto ad un metodo diretto e frontale, insegnando non solo la lingua italiana, ma tutte le discipline dell’obbligo scolastico. Il suo metodo era fondato sulla capacità di suscitare la riflessione e porre domande, le cui risposte andavano ricercate nella realtà circostante e nelle parole che la descrivono. Manzi era un uomo colto ma capace di semplificare, un grande innovatore, che sapeva impartire ai suoi allievi una lezione importante per la vita: conoscere significa coltivare l’intelligenza del dubbio e la curiosità, perché è dalle nostre domande che ha origine la cultura, unica vera libertà umana.

Le lezioni di Manzi si rivolgevano a classi di adulti analfabeti con tecniche di insegnamento moderne, che oggi potrebbero essere definite multimediali: filmati, supporti audio, oggetti della realtà, disegni e dimostrazioni pratiche concorrevano alle spiegazioni che il maestro somministrava ai suoi corsisti nella fascia preserale, in orario compatibile con i turni di lavoro.

Il programma andò in onda fino al 1968 per un totale di 484 puntate e fu interrotto a causa dell’aumento della frequenza nella scuola dell’obbligo. Il suo contributo all’unificazione culturale e linguistica del Paese fu determinante e il format fu riprodotto in altri settantadue paesi: era il successo del paradigma felice della formazione a distanza con funzione sociale ed educativa.

Dalla "nuova TV" all'innovativa DAD

La fine del monopolio radiotelevisivo e lo sviluppo delle reti private negli anni Settanta contribuì in modo significativo al cambiamento dei mezzi di comunicazione. La frenesia della vita quotidiana si riflettè sulla televisione che da allora, in un processo mai interrotto, ha acquisito ritmi e linguaggi sempre più contratti e veloci; la rete ha fatto il resto, frammentando continuamente saperi e contenuti.

Laptop

Siamo a noi. Ormai, per perseguire uno scopo educativo, la televisione o i nuovi media devono conquistare il tempo dell’ascolto e dell’interazione contro miliardi di contenuti che spesso appaiono più interessanti e meno legati alla didattica convenzionale.

Nonostante tutto, molti esperimenti divulgativi del servizio pubblico di questi anni e l'esplodere di canali divulgativi sui social network ci stanno mostrando che i media possono essere veicolo per diffondere sapere ed educare secondo il "metodo Manzi". È una vittoria che ha molti protagonisti "privati", ma pochi "pubblici". Da una parte la divulgazione portata avanti dai privati cercando di entrare nella scuola pubblica con laboratori ed eventi, ma cavalcando anche altri media; dall'altra la scuola che un po' sfrutta questi "modi nuovi" per stimolare e incuriosire, ma per lo più rimane ancorata alla didattica prettamente in presenza, nel bene e nel male.

Poi arriva l'emergenza. Poi la scuola scopre di dover inventare la didattica a distanza; scopre di aver bisogno di mezzi nuovi e di tecniche mirabilonti. Risultato?! I problemi della nuova didattica, oltre le difficoltà tecniche, finiscono per essere quelli che aveva in presenza: i ragazzi non partecipano, non fanno i compiti, non sono stimolati. Falliamo nel tentativo di creare motivazione: unico vero motore dell'educazione e della formazione.

Poi c'è la nostra storia, riprendessimo ad ascoltarla magari potremmo anche farcela...


Approfondimenti:

Fonti:

Il testo è estratto quasi interamente da un saggio scritto da Alessia Pongetti al termine del corso di Linguistica Italiana del Master "Discipline socio-letterarie" dell'Università per stranieri di Reggio Calabria.

  • Donfrancesco, I., L'italiano in televisione, in L'italiano tra scuola e televisione, I Quaderni della Ricerca, n. 9, 2014, a cura di Donfrancesco I. e Patota G., Loescher Editore, Torino, 2014
  • Maraschio, N., Le nuove fonti della lingua: radio e televisione, in L'italiano dalla nazione allo Stato, a cura di Coletti V., Le Lettere, Firenze, 2012
  • Centro Alberto Manzi 

Foto di testa di CLAUDINE BARGETON  da Pixabay ; foto di mezzo di methodshop  da Pixabay ; l'ultima foto è di Monoar Rahman Rony  da Pixabay 


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