Le mani sporche

Del perché e del per come fa bene sentirsi le mani sporche

Che bello avere tante cose da raccontare… Sapessi anche esattamente da dove iniziare sarebbe perfetto! Facciamo così: 1, 2, 3… VIA! Dovete sapere che durante il lungo ponte del 2 giugno, ormai perso nei meandri della storia, ho partecipato allo stage “Mani e materiali” della LUDEA [1]. Da quella avventura, e dopo molto (moooolto) fermentare, è uscito questo racconto di mani sporche e che si sporcano. Una delle mie solite follie…

Mano sporca

Avviso al navigante. Dei quattro giorni dello stage non racconterò proprio tutto: diciamo all’incirca quello che servirà per farvi entrare nello spirito. Dove non arriverà il testo lascerò briciole per permettervi di portare via cose.

~~ Il (mis)fatto (a mano) ~~

Il comincio della storia è stata una cesta piena di tessere di legno tutte uguali [2] ed un grosso tavolo. Qualcuno ha iniziato a piazzare le prime tessere con aria circospetta. Uno o due lo hanno seguito. Poi tutti gli altri. Obbiettivo: giocarle tutte. Qualcuno ne ha prese per sé ed ha iniziato a costruire. C’era chi connetteva e chi distruggeva. Alla fine non sono rimaste che strane geometrie verticali e dei proto ponti.

Kapla

Robe strane, che dicevano molto di chi stava giocando, ma che lasciavano anche molte domande. “Giochiamo all’equilibrio o all’interconnessione tra le nostre varie strutture?” “Chi sei te che cerchi quell’equilibrio così fine e particolare?” “E te? Perché crei ponti?” “Posso unirmi?” È stato un bell’inizio: un gioco, tutto materiale, pulito e definito; pieno di riflessioni, ma anche di distrazioni.

Pulito, forse anche troppo.

Dopo aver giocato tutte le tessere ci è stato proposto, cestino alla mano, di andare a scoprire lo spazio intorno a noi [3] e di recuperare materiali belli. Prontiiii… Via! Era il momento di mettere le mani dappertutto!

Guarda che bel batuffolo fibroso, uuuh che bel sasso. Wooow!!

coooool

Una tegola! Stupenda!

Pochi minuti e avevamo cestini pieni di ogni meraviglia immaginabile e un bel po’ di materiali giocabili; però non avevamo gli strumenti, o meglio ci mancavano gli strumenti giusti. Zan zan zaaan! È stato qui che ha fatto la sua comparsa l’oggetto più bello del 2017: la Panoplia.

/Pa nò plia/ Complesso delle varie parti di una armatura, o un insieme di armi assortite, disposte a trofeo per ornamento, o in quanto soggetto di raffigurazione plastica o pittorica a carattere decorativo.

Che nel mondo dell’educazione può essere molto di più: tipo un contenitore per raccogliere e collezionare tutti gli strumenti utilizzabili per cosare le cose.

Panoplia

Cuoio, spago e qualche decennio di storia. Bellissima!

La scoperta di questo stupendo “supporto” educativo ci ha dato motivo di riflettere sugli strumenti e il loro utilizzo. Da lì costruire una nostra panoplia è stato il passaggio naturale. Ogni attrezzo doveva avere il proprio posto.

Panoplia1

A questo punto: le mani le avevamo portate da casa, alcuni materiali erano stati recuperati lì intorno e gli strumenti avevano uno spazio e un’identità ben definite. Si poteva iniziare a sperimentare. Booom!

~~ Il carosello della sperimentazione ~~

Esperimento uno – Colla a caldo e i materiali raccolti. Nessuna consegna. (Adoro non avere consegne)_ C’era quel sasso lì, che aveva proprio quella forma…

Nonno troll

...da nonno troll tra le nuvole!

Esperimento due – Cartone. Obbiettivo: costruire qualche cosa che potesse stare in piedi, che contenesse degli incastri e in cui fosse presente almeno una parte mobile. Ah ah, ti ho visto te, mostriciattolo che ti nascondi in quella scatola di cartone!

Mostro

(immagine di repertorio Rai – 1974)

Ottimo inizio. Un po’ di polvere ed una leggera patina di sporco sulle mani.

Esperimento tre – Midollino. [4] Mido… che?! Boooh, si è provato. Missione di vita: creare un piatto/cestino/frisbee. L’ho trovato abbastanza bisbetico come materiale: va cullato e trattato bene o si offende e non fa quello che vuoi. D’altra parte permette anche di lavorare lasciandosi trasportare dai movimenti ripetitivi. Taaac! Ho staccato il cervello e sono andato dove mi voleva l’intreccio…

Cestino

…tipo qui, anche se non so bene dove sia.

_Esperimento quattro – Scelta: robot o zattera? Io robot, grazie! Anche perché in questa occasione ero io a proporre l’attività. Ho scelto Lego WeDo [5] e Makey Makey [6], entrambi kit tecnologici con cui ho lavorato molto nell’ultimo periodo. Con il primo ho proposto un’attività “standard” (costruzione robot da istruzioni e messa in movimento); sul secondo invece ho lasciato libertà di sperimentare.

[magari avessi delle foto]

Come è andata?! Booooh! Mi hanno detto che è stato interessante e divertente, di più non so; sicuro mi sono portato via moltissimi spunti. E le mani? Beh, le mani sono state sempre sudaticce per l’emozione e le aspettative. Ma ce l’ho farcela! È stata una giornata intensa, ma l’ho portata a casa e il terzo giorno è arrivato in un attimo (passando per una serata di balli di cui non parlo per evitare di dover fornire prove fotografiche…).

troll eyes

Esperimento cinque – Scelta: ç@#@! VS @#§#ò (nomi delle attività censurate perché troooppo eretiche); fucile con canne di fiume o carta marmorizzata [7]. Beh… che carta sia: colla da parati + colori a olio = sporco ovunque. Arte!

Carta marmorizzata

Attività spettacolare, davvero bella. Abbiamo fatto mille prove e sperimentato praticamente ogni combinazione di colori, ma soprattutto… quel livello di sporco lì, non so, è stato come un interruttore. Poco dopo, mentre costruivamo mappe per orientarci nel “pensiero dietro le mani“, sentivo delle rotelle lavorare in sottofondo, ma non capivo ancora perché. Perché?!

rage

Poi la bomba...

Esperimento sei – Costruire una lampada! Una delle attività di gruppo più complessa che mi fosse mai capitata eppure, con quel gruppo lì, è venuto tutto molto naturale: divisione dei compiti, progettazione ardita ma efficace, tanti tentativi e tanto lavoro manuale (anche di ignoranza eh… che usare gli strumenti giusti non ci è piaciuto, dovevamo per forza soffrire). La lampada doveva essere esattamente così. Punto.

Lampada

Come mi si sono sporcate le mani… Non potete sapere! Io però ho iniziato a capire. Le rotelle andavano ancora, sempre più forte. Lo sentivo nelle mani, in quella patina che strofinata produceva filamenti tipo gomma per cancellare. Qualche cosa si era acceso (non solo la lampada) e non c’era più verso di spegnerla, non hanno aiutato nemmeno tutte le riflessioni sulla complessità del “mettere le mani nei materiali”. Le mie mani volevano fare e si volevano sporcare ancora. Peccato che le giornate siano sempre così corte. Poi però c’è stata quell’ultima attività lì…

Esperimento sette – Quadri per sette. Ovvero: costruire una cornice, tipo finestra sul mondo, con quattro vecchie assi di parquet al cui interno dovevamo appendere 7 pezzi di legno scelti da qui:

Pezzi Alice

Finalmente tutto ha trovato un senso. Ero solo, con le mie mani e il materiale: volevo conoscerlo, volevo capirne la risposta a vari tipi di attrezzi. Mi sono ritrovato all’estremità di un tavolo mentre provavo a mandar via la patina del tempo che copriva le assi. Più pulivo loro e più le mie mani erano sporche. Più le mie mani si sporcavano più sentivo il legame con quello che stavo facendo, con il materiale e con l’ obbiettivo che mi ero prefissato. Lì ho smesso di pensare, non so per quanto mi sono isolato. Ad un tratto ho percepito che intorno a me l’attività era diventata febbrile: qualcuno doveva aver ricordato i tempi.

~~ Pensierini fermentati ~~ Mannaggia al tempo tiranno. È toccato a “tirà via”, per finire, combattendo con la mia inenarrabile inettitudine e martoriando un’infinità di chiodi. Però, in qualche modo, ce l’ho farcela:

Cornice

Finito questo è stata davvero la fine: giusto un bel momento di silenzio per buttare giù i nostri pensieri e le impressioni sulle giornate trascorse insieme. E puf, era già ora di tornare a casa. Grappino!? No, devo guidare, meglio un pensierino fermentato...

Che stage è stato? Bah, come faccio a spiegarvelo? Questo stage è stato… uno stage. Non c’è molto che si possa aggiungere per spiegarsi. Stiamo sul significato letterario: “periodo, fase d’iniziazione pratica o comunque di addestramento per lo svolgimento di una determinata attività”. Ogni stage di casa CEMEA è questo, niente di meno, ma forse molto molto di più.

Mi spiego. Normalmente, ad uno stage, si va per ottenere degli strumenti utili. Alla LUDEA pure, ma poi si impara a trovarli dentro di sé e, molto spesso, si finisce per scoprire un ulteriore valore aggiunto: l’ Altro. Uno stage come questo me lo ha fatto capire in maniera lapalissiana: ci sono state attività, che se non avessimo condiviso e collaborato, non sarebbero mai riuscite. In un certo senso, più che una proposta di formazione su mani e materiali l’ho sentito uno stage profondamente legato alle relazioni.

wow

Tutto ciò mi fa impazzire perché più ci penso e più so che questo, in fondo, è anche uno dei motivi per cui continuo a tornare. Non importa la proposta “di volantino”, parto sempre sapendo che sarà occasione di crescita, vado sicuro che ogni persona che troverò si lascerà dietro qualche briciola che mi renderà un po’ più ricco. Come soffro ad arricchirmi.

Personalmente, questo stage mi è piaciuto da matti. Adoro quasi ogni attività manuale e la proposta dell’equipe mi ha dato l’occasione per riprendermi le mie mani. Oooh, non ridete!? Mi ero perso le mani. Capita... Nel mio lavorare di tutti i giorni le mani devono essere pulite e ordinate perché sennò si sporca il computer, la carta e bla bla… Ma io le mie mani le vorrei sempre sporche, perché le mani si sporcano solo se interagiscono con le cose.

mumble

Ora che ci penso, credo che sporcarsi le mani lavorando i materiali non sia molto diverso dal farlo in qualsiasi altro modo, tipo… Che ne so, educandosi (ed educando) facendo e toccando con mano…

Conclusioni metaforiche. Avere le mani sporche vuol dire aver avuto, con una qualsiasi “cosa”, un rapporto privilegiato; vuol dire essere andati oltre la superficie. È un reciproco scambio. Lavorando un materiale le mani lo modificano, sporcandosi ed irrobustendosi; così, ogni azione diventa educativa se chi agisce si lascia contaminare e fortificare da quell’esperienza. Boh, mi pare sensato. Vabbeh…

Direi che per oggi possa essere abbastanza, che ne dite?


Un grazie speciale a Giovanna, Alice e Giada per alcune delle foto presenti in questo articolo.

[1] La LUDEA - Libera Università Dell'Educazione Attiva (Link )

[2] Il gioco si chiama Kapla ed è, appunto, costituito da una serie di tavolette di legno lisce e tutte uguali (KaplaItalia – sito)

[3] Il posto si chiama Almaterra (in attesa del nuovo sito c’è il facebook). Anche questo meriterebbe un articolo tutto suo, ma lascio a voi il piacere di questa piacevole scoperta.

[4] Ho scoperto in questa occasione che quello che ho sempre chiamato vimini in realtà ha un altro nome, che va immerso in acqua per essere modellabile e che è un materiale fighissimo e molto difficile (antichitabelsito.it)

[5] Lego WeDo è un kit pensato per i bambini delle elementari con cui è possibile costruire e muovere piccoli animali ed invenzioni in lego. A questo link Giunti Scuola ne analizza bene caratteristiche e potenzialità.

[6] Makey Makey è un kit sviluppato all’MIT per stimolare la creatività e l’inventiva dei bambini e non solo. Qui un video introduttivo: link

[7] Carta marmorizzata. Esistono varie tecniche e molti tutorial in giro… Principalmente viene realizzata su base acqua, nel nostro caso abbiamo sperimentato la versione con la colla da parati perché ci si sporca di più. Ovviamente.


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