Riflessione o confessione?

Riflessione o confessione

Non tutto quello che è successo nella mia quotidiana rubrica sulla vita da insegnante è stato riportato, lentamente cercherò di recuperare. Ma c'era una riflessione, lungo la strada, che mi sembrava importante. Di questi #365giornidainsegnante sono già al #178; mi parte una riflessione.

#178 Ieri una cara amica, e nuova collega, mi ha confessato che "nei primi giorni di lavoro, quando venivi a scuola con la trombetta e facevi casino non riuscivo a prenderti sul serio, ma mi sono ricreduta, sai quello che fai... Saresti anche un ottimo preside"

Ora, complimenti così, da una persona che stimo, dovrebbero bastare per fare giornata, mese e anno; ma a me hanno comunque scatenato una riflessione: quanto mi sto muovendo bene verso l'obbiettivo?

#365giornidainsegnante #26febbraio

A occhio sto facendo bene sul lavoro: i ragazzi, chi più chi meno, studiano; ho la stima dei colleghi e in generale nessuno sembra lamentarsi. MA io so. Non sto lavorando bene per il mio obbiettivo. Non tutto quello che faccio mi sta mettendo sulla strada per arrivare dove voglio. E io voglio essere il migliore insegnante che i ragazzi possano avere a disposizione: scrupoloso nella didattica; preciso e puntuale nelle scadenze e negli impegni; attento a cosa, e a come, succede in classe; coerente e in grado di trasmettere sicurezza. Si direbbe io sia sulla buona strada o vada proprio bene su ognuno di questi aspetti, nella realtà non è così.

Non studio abbastanza, troppo spesso la mia buona pratica di regolare la mia azione sull’andamento dei ragazzi prende il sopravvento; non posso rinunciare a questo aspetto, lavorare perché tutti possano arrivare allo stesso livello fa parte di me e del mio modo di vedere l’insegnamento, ma nel farlo non devo smettere di approfondire. Se andiamo tutti insieme ad uno stesso argomento, anche se minuscolo, su quello devo essere super scrupoloso. Quando propongo un nuovo argomento devo essere solido, devo conoscere i tratti fondamentali, devo aver fatto alcuni esercizi, devo approfondire per stimolare le domande giuste e saper rispondere con cognizione a quelle sbagliate. Devo dedicare qualche minuto, prima di ogni lezione a preparami, anche su cose che so, perché in realtà non so niente.

L’unica cosa su cui riesco ancora ad essere efficiente è la puntualità nelle scadenze, sia per le cose che faccio sia per quelle che propongo, spero che questo trend duri. Perché al momento tutta questa puntualità mi sembra solo fortuna.

Attento a quello che succede alla classe lo sono già, vedo tutto e so sempre quasi tutto quello che succede in superficie. I fatti più importanti non sempre li conosco. Di solito so più di altri, ma spesso meno in profondità. Ho un buon rapporto con le classi, mi apro, ma ancora riesco a rimanere sufficientemente distaccato perché mi lascino entrare solo di rado. Mi va bene così, credo che così debba essere, e in ogni caso apprezzo il riserbo che hanno con me. Mi piacciono le persone riservate, vorrei esserlo di più.

Ma devo anche agire e pretendere che il modo sia quello giusto, che il tempo passato insieme sia fruttuoso e significativo. E invece troppo spesso distolgo lo sguardo, in nome “devono imparare da soli a gestirsi ed essere responsabili delle proprie azioni, faranno i conti al momento delle prove”. Invece no. A volte devo mostrare come ci si comporta e costringerli a riflettere. Devo studiare di più anche da questo punto di vista, e principalmente devo studiare me stesso.

Tutte queste cose vanno fatte con coerenza, non promesse ma fatte e basta. Non declamate ma fatte e basta. Troppo spesso mi affido alla parola, ma la parola va usata meglio, con cognizione e scrupolo, per spiegare e trasmettere contenuto e passione. E la parola voglio imparare ad usarla bene, con cognizione, e ho deciso di studiare come si usa perché questo sia uno strumento in più per trasmettere sicurezza. Ai gesti e al silenzio, che tanto amo, devo imparare a lasciare tutto il resto.

Per fortuna ho anche armi che credo funzionino bene, sotto tanti di questi punti di vista; come il contratto didattico che negli ultimi anni propongo (o impongo?!) ai ragazzi all’inizio dell’anno. Funziona, ma qualcosa cambierò sicuramente, almeno nel modo di presentarlo. Si vedrà, dopotutto quelle descritti lì sono punti fermi del mio modo di lavorare. Forse quello che manca è l’occasione per far riflettere i ragazzi su quello che intendono fare perché tutto il processo funzioni. Vabbeh… Avrò modo di rifletterci.


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