I piedi
Basta ascoltare i propri piedi per capire
Questo articolo era rimasto sullo scaffale un po’ troppo, ma narra di fatti che appartengono al prologo dell’avventura che sto vivendo in questo periodo. Quindi non poteva proprio più aspettare, erano i miei piedi a chiedermelo…
Giuro, a volte nemmeno io so a cosa mi riferisco. Capiremo. (?!)
Tenete presente che i suddetti fatti si sono svolti così tanto tempo fa che non ricordo nemmeno esattamente quando, però proverò lo stesso a liberare questa storia dalle sue catene. Che poi, storia non è: non ha più personaggi né tempo. L’ambientazione sta sempre là e già la conoscete: la casa del CEMEA di Oriolo Romano! Il cosa invece era uno stage sulla comunicazione non verbale: che già solo per il nome uno si immagina storie di super poteri e cose ultra stellari…
Però poi i super poteri non ci sono, né esistono, quindi quello che è rimasto di tutta la storia è una piccola riflessione sull’esperienza. C’è solo questo perché è l’unica cosa che ho sentito il bisogno di salvare nei miei continui zac zac.
Parole abbandonate.
Questo stage mi ha lasciato senza parole. Anzi, per l’esattezza, senza la parola, con la P maiuscola. Vedete, in queste situazioni c’è sempre una parola intorno cui ruota tutta la mia esperienza: stavolta mi sono trovato ad averne due. Un casino.
Dalle prime battute di questa avventura ho sentito una parola che prepotentemente mi si appiccicava addosso: frenare. Vi spiego.
Per la prima volta sono partito da casa pensando, o sperando, che in questo stage avrei trovato qualche cosa. Grave errore. Le aspettative sono dei macigni aggrovigliati in mille pensieri, che non ci lasciano planare leggeri sulle novità. Infatti, quando lo stage è iniziato, qualcosa stonava, mi sentivo statico, adagiato sulla comoda familiarità di quella situazione.
Dall’altra parte mi sentivo troppo veloce, troppo accelerato per vivere bene le relazioni di incontro. Credo di averlo già raccontato: ho sempre sofferto di troppa velocità, il passo è troppo lungo e il respiro troppo forte, mi trovo sempre alla fine prima ancora di partire, sempre proiettato oltre, alla prossima consegna, alla prossima attività o alla prossima esperienza. Questa volta però dovevo frenare. Dovevo provare a godermi le attività di rilassamento e quelle di scoperta dei propri confini e di quelli degli altri.
Poi, per fortuna, c’è stata un’attività che mi ha liberato o forse mi ha semplicemente rinfrancato da questi miei pensieri negativi e da tutte le ansie. Finalmente ho scoperto i miei piedi.
Passi armonici e situazioni ritrovate
Non riuscivo proprio a liberarmi dei miei pensieri e a lasciarmi andare. Poi, ad un certo punto ho capito, o meglio sono stati i miei piedi a farlo. Non mi stava mancando di andare da qualche parte, cercavo qualche cosa, cercavo il ritmo giusto, il passo giusto per il contatto, per esplorare e per rimanere in ascolto di me stesso e di chi mi stava intorno. Stranissimo.
Durante quell’attività liberatrice, il contatto e la relazione era mediata da una canna di bambù, tenuta e sostenuta da un solo dito. Eppure non erano le dita o la canna di bambù a fare davvero il contatto e l’incontrarsi: erano solo la parte più estrema e visibile di un contatto che era possibile solo attraverso tutte le parti del corpo. Tutto ha trovato un suo senso quando sono riuscito a lasciarmi andare e a farmi trasportare dal ritmo. E allora mi è venuto anche un pensiero divertente: basta espressioni facciali, parole o gesti strani; la comunicazione è tutta una questione di piedi. Se li muovi può darsi che ci sia una comunicazione, uno scambio e una relazione. Se li lasci lì, semplicemente attaccati in fondo alle gambe difficile che succederà qualche cosa.
Insomma, parlate con i piedi, ma soprattutto ascoltateli. I vostri e quelli degli altri. Loro sanno tutto, anche che cosa voglia dire questo articolo di blog.
Ci leggiamo la prossima puntata!